Mare Nostrum. Così i latini chiamavano il Mediterraneo, il mare nostro, quello specchio d’acqua salata che ritenevano fosse stato affidato loro dagli Dei. Un regalo che avevano difeso e mantenuto con le armi, arrossando di sangue quelle acque in lunghe guerre, contro Cartagine in primis. Mare Nostrum. Un triste nome di battesimo per l’operazione pianificata e gestita dalla Marina Militare volta a legittimare l’immigrazione clandestina.
D’altronde, abbiamo sempre avuto l’invidiabile capacità di agire contro i nostri interessi, spacciando tali fallimenti per eclatanti successi e chiamandoli per accortezza con nomi altisonanti. L’operazione Mare Nostrum è solo uno dei tanti, troppi autogol della politica italiana degli ultimi anni. A ben vedere, tutto l’affaire libico si è dimostrato il più clamoroso flop, sia in campo economico, sia geopolitico.
La Libia di Gheddafi, pur tenendo conto dei tantissimi difetti del Rais, a partire dal 2008 è stata per noi un partner commerciale fondamentale, così come l’Italia a sua volta era il primo interlocutore europeo per il Paese nordafricano. Basti osservare qualche semplice dato per comprendere come i cacciabombardieri della NATO, oltre a distruggere una delle più ricche nazioni africane, abbiano anche compromesso significativamente l’economia e l’indipendenza commerciale del nostro Paese.
Prima della caduta di Muammar Gheddafi, la Libia estraeva il 2% circa del petrolio mondiale, con un’esportazione di quasi 1,6 milioni di barili al giorno. La produzione era gestita anche dall’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), che controllava diverse e importanti aree di estrazione petrolifera e di gas sul suolo libico. Il «cane a sei zampe», in accordo con la compagnia petrolifera nazionale libica, si occupava anche della gestione dell’importante gasdotto sottomarino Greenstream, che collega via mare le coste nordafricane a quelle siciliane. Inoltre, a seguito degli accordi col governo Berlusconi nel 2011, la Libia aveva aperto le porte a centinaia di piccole e medie imprese italiane, permettendo loro di investire e lavorare con vantaggiosi patti fiscali; a seguito della guerra civile, non hanno più potuto operare o sono state costrette a fallire.
Non è tutto: il governo libico aveva investito 3 miliardi di dollari nella costruzione di un’immensa autostrada (quasi 2000 chilometri, dalla Tunisia all’Egitto), riservandone la completa realizzazione a sole aziende italiane; lo stesso valeva per buona parte del restante sistema stradale e autostradale, di fatto gestito da imprenditori nostrani. Anche il comparto aeronautico aveva la sua parte: l’aviazione libica aveva affidato a esperti italiani l’addestramento, ovviamente ben remunerato, di un reparto tecnico specializzato. I dati più forti sul piatto della bilancia provengono tuttavia dalle cifre dell’interscambio commerciale: nel solo 2010, il nostro Paese esportava in Libia merci per un valore di 3 miliardi di euro, importando a sua volta (soprattutto gas e petrolio) per circa 12 miliardi.
Fornendo le basi militari ai bombardieri francesi e statunitensi, l’Italia ha firmato la propria condanna, autolimitandosi l’influenza sull’intera area nordafricana. Il golpe militare, fortemente voluto da Sarkozy, aveva il preciso scopo di difendere e rafforzare l’interesse francese nella zona a discapito di quello italiano: prova ne è che l’ENI è stato quasi completamente esautorato, sostituito dalla Total, compagnia petrolifera francese. Laddove prima a farla da padroni erano imprese e aziende italiane, ora assolutamente messe in minoranza, adesso operano sigle inglesi e d’Oltralpe, da sempre concorrenti della nostra economia mediterranea.
Evitando di imporsi e limitandosi a subire passivamente le decisioni prese a Londra e Parigi, il nostro governo ha causato un danno enorme all’economia nazionale, arrivando a tradire uno Stato formalmente amico, a cui lo univa addirittura un trattato di aiuto militare reciproco in caso di guerra! Il trattato siglato tra Roma e Tripoli riguardava oltretutto un capitolo specifico e importantissimo sull’immigrazione illegale, che tutelava le nostre frontiere impedendo a migliaia di clandestini di salpare dal continente africano per riversarsi in Europa, come invece accade di fatto oggi.
Insomma, il governo italiano ha sbagliato tutto con la Libia. Non è dato sapere se l’intellighenzia nostrana abbia agito in maniera consapevole, comportandosi da traditrice, oppure con una altrettanto colpevole leggerezza. Resta la speranza che, adesso che la Libia è in preda al caos più totale e invoca un nostro intervento, l’Italia si ricordi del proprio ruolo storico e geopolitico nel Mediterraneo, facendo il possibile per ristabilire l’influenza sulla zona e riconsegnando al termine Mare Nostrum il significato originario. □
Minamoto