Palestina: un’esistenza in bilico [attualità]

Palestina (fasi)L’attuale base territoriale dello Stato di Israele e del mai ufficialmente costituito Stato palestinese – nel 2012 riconosciuto dall’Assemblea delle Nazioni Unite come Stato osservatore non membro – è composta dai territori dell’ex Mandato britannico in Palestina ed è abitata da un popolo vittima di dinamiche attivatesi sul finire del XIX secolo e condizionate da più di settant’anni di guerre, violenze e tensioni tra israeliani, gruppi arabi autoctoni e Stati circostanti. Con il territorio in questione, specchio di un’estrema alternanza fra aree economicamente più e meno sviluppate, risulta opportuno fare luce sulle attuali condizioni dell’Autorità Nazionale Palestinese. Costituitasi il 15 Luglio 1994, l’ANP presenta un governo di tipo semipresidenziale, la lingua nazionale è araba e la religione islamica, mentre la moneta è il Nuovo Shekel israeliano, a dimostrazione della dipendenza economica nei confronti di Israele.

Per quanto riguarda gli aspetti amministrativi, l’ANP è divisa al suo interno in Striscia di Gaza (365 kmq) e un’area a macchia di leopardo pari a circa il 45% della Cisgiordania (5.655 kmq). Per comprendere meglio questa divisione, unica nel suo genere, è necessario guardare alla storia contemporanea dell’area interessata. Infatti, l’inizio del ritorno sionista nella Palestina storica sul finire dell’Ottocento culminò con la risoluzione ONU 181 del 1947, che divise il territorio in Stato d’Israele, Stato di Palestina e zona sotto giurisdizione internazionale (Gerusalemme e Betlemme). Questa ripartizione si dimostrò presto un errore e, dopo l’ufficializzazione dello Stato di Israele, cominciò il primo conflitto arabo-israeliano. Seguirono le tensioni del 1956 – che mossero l’attenzione delle grandi potenze mondiali, Unione Sovietica su tutte –, la Guerra dei sei giorni del 1967 e la Guerra del Kippur del 1973. Infine, con lo scoppio della prima Intifada, nel 1987 l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), capeggiato da al-Fatah (Movimento di liberazione palestinese) e Arafat, si impegnò per una soluzione pacifica, concretizzatasi nel 1993 con gli accordi di Oslo: tuttavia, anche questo trattato portava in sé il germe del fallimento, poiché rimandava a una data imprecisa la definizione di molte questioni cruciali. Dal patto vennero comunque definite tre aree: una zona A sotto controllo palestinese (alternata tra Striscia di Gaza e Cisgiordania), una zona B dove l’ANP avrebbe detenuto esclusivamente poteri civili e una zona C (pari a circa il 60% della Cisgiordania) totalmente sotto Israele.

Nel 2000, con l’insorgere della seconda Intifada, quest’ultimo uscì allo scoperto: dalle sue mosse risultò infatti chiaro il tentativo di frammentare lo Stato palestinese in tante enclaves governate da collaborazionisti. Così, a seguito della nuova onda anti-terroristica post-11 settembre, Sharon inaugurò un periodo di lotta all’opposizione araba che durò fino al 2006, quando si ritirò dalla vita politica. Nello stesso anno, con la tensione ai massimi livelli, le elezioni nell’ANP premiarono Hamas (organizzazione estremista politico-religiosa, fondata con l’obbiettivo di scacciare gli israeliani dalla Palestina), ma, viste le percentuali dei voti, nel 2007 si stabilì che il movimento governasse solo nella Striscia di Gaza, dove sfiorava la totalità dell’elettorato, mentre al-Fatah, uscito sconfitto dalle urne, dirigesse laddove deteneva la maggioranza, nella Cisgiordania araba. Per evitare ulteriori scontri ideologici intestini, l’ANP dunque si era divisa volutamente in due aree amministrative distinte e si dovette aspettare fino al 2011 perché i due partiti si riavvicinassero, nella promessa di riconciliazione e nuove elezioni per un governo unito. Tuttavia, ad oggi le votazioni non si sono ancora svolte, perché troppe sono le parti interessate a mettere mano sul destino di questa terra (povera e sottosviluppata) e del suo popolo: in primis, il presidente Abu Mazen, capace di vantare ancora una forte leadership all’interno dell’apparato governativo palestinese.

A seguire, ma non certo di minore importanza, un altro grosso limite è determinato dalla precaria situazione dei rapporti tra l’ANP e il governo israeliano nella Striscia di Gaza; considerati i preponderanti appoggi statunitensi di cui quest’ultimo può godere, il conflitto si trasferisce su un terzo piano di lettura, dal respiro molto più ampio. Una disputa che deve perciò essere inserita a pieno diritto nel castello dei rapporti tra le potenze internazionali, attenta, come fu in periodo di Guerra Fredda, alle delicate situazioni di Paesi come Siria, Egitto e Iran, che, come raccontano le vicende recenti della Lega Araba, hanno inciso, toccano e influenzeranno ancora la più annosa questione del mondo mediorientale.

Zenén de la Bàla